La scorsa edizione di Samumetal a Pordenone, il mio amico Renato Gastaldo,
mi ha regalato un volume che ho letteralmente divorato.
Si tratta del libro di Mario Marobin “Salvagnini, 30+20”
che narra della straordinaria storia di un marchio che porta il nome del suo geniale fondatore: l’ingegner Guido Salvagnini.
In perfetto stile veneto non si è andati a ricercare uno scrittore esterno per la stesura di quella che viene scritta nell’introduzione come una “raccolta di memorie”, ma uno dei veterani numeri uno dell’azienda si è preso la responsabilità di dare voce ad una vera e propria epopea fatta di vette e di schianti, ma con una vitalità veramente eccezionale.
Il risultato, a mio avviso, è un volume che non dovrebbe mancare nella libreria di nessun lavoratore della lamiera, indipendentemente dall’essere cliente Salvagnini o no.
Attraverso queste pagine, come quelle di pochi altri volumi, si dà l’idea di quanto dietro ad una azienda ci siano la passione, la determinazione, la sofferenza e l’ingegnosità di un ristrettissimo club di persone che hanno saputo poi mettere in pratica le proprie visioni grazie a delle squadre via via sempre più ampie.
Ci tenevo molto a condividere con voi il perché questo libro mi ha colpito:
SI RACCONTA DEL FONDATORE GUIDO CON UNA TRASPARENZA SPIAZZANTE
Negli aspetti più geniali e negli spigoli più taglienti.
Dalle visioni tecnologiche pazzesche a quando non nascondeva di aver licenziato più di 50 ingegneri perché non ritenuti all’altezza delle sue aspettative, o quando, ancora, fuori dal suo ufficio campeggiava il cartello “Prima di esporre un problema domandati se il problema sei tu” (o una cosa del genere) fatto poi togliere dalla moglie che in azienda spesso stemprava gli animi.
(In ogni caso, soprattutto dopo questa lettura, mi rammarico di non averlo potuto conoscere…)
SI HA L’IDEA DI QUANTO SALVAGNINI FOSSE IN ANTICIPO SUI TEMPI
Si scopre che le sue macchine avevano una meccanica raffinatissima, ma che non esisteva l’elettronica e l’informatica per poterle gestire!
Salvagnini è la Pannellatrice dagli anni ‘70 e all’inizio la programmazione era tutta a spinotti tipo i vecchi centralini del telefono. Incredibile!!!
IL PROGETTO ALPS
La commessa da far tremare i polsi per General Electrics: anni 80, risollevano la competitività del più grande colosso di elettrotecnica del globo grazie una fabbrica completamente automatica.
Si parte dai coils e si arriva ad armadi elettrici finiti con una miriade di varianti (mi pare oltre 700 articoli diversi).
C’è una piccola confessione sugli americani che sotto sotto fa sorridere a pagina 49:
“C’erano anche altri grandi gruppi in gara, ma vincemmo noi perché in quanto italiani, sapevano che alla fine ce l’avremmo fatta!”
L’ACQUISIZIONE DI QUELLA CHE SAREBBE DIVENTATA LA FILIALE AUSTRIACA
…e che stava diventando una concorrente scomoda.
La proprietà era una grande azienda siderurgica, del tutto favorevole alla cessione dal momento che il ramo “macchine utensili” era in passivo.
LA CRISI DI PRIMI ANNI NOVANTA
Con le riforme pesantissime del governo Amato e la volontà ostinata di proseguire con i progetti del fondatore.
Di lì a poco subentrerà la cordata Scarpari dando comunque continuità all’azienda.
IL MATRIMONIO FALLITO CON PRIMA INDUSTRIE
Se ne parla in modo vago (anche nel libro “Scintille” di cui magari parlerò un’altra volta) il che vuol dire proprio che non era cosa…
Fatto sta che in un momento in cui le due aziende erano totalmente complementari è stato forse un peccato: un grande dei laser si fonde con un grande della piegatura, sarebbe stato un colosso a livello mondiale!
ROBOFORMER E L’ACQUISIZIONE DI MECOS. LE PRIME CELLE ROBOTIZZATE CON PRESSA PIEGATRICE.
All’inizio Robot Comau e presse Gasparini, in seguito grazie all’acquisto della piacentina Mecos e all’utilizzo di robot Kuka, nasce una cella integrata ad altissime prestazioni.
L’INGRESSO NEL MONDO DEI LASER E PINIFARINA CHE DISEGNA LE MACCHINE
Questo e moltissimo altro in un volume chiaro e ricco di vicende umane.
Il libro presenta parti scritte con particolare emozione come il ricordo commosso di un collaboratore tra i migliori: Sandro Quadri e il discorso originale dell’ingegner Guido che indisse una riunione di tutti i dipendenti in sala mensa.
Solo una cosa mi dispiace, che un lavoro del genere non abbia la diffusione che merita.
Si tratta infatti di un libro celebrativo prodotto in piccola tiratura e che secondo me avrebbe bisogno di essere divulgato per gli appassionati in primis, per gli studenti e per i giovani.
Perché l’ingegner Guido è stato per Salvagnini quello che Steve Jobs è stato per Apple.
Il paragone come genialità non è affatto sproporzionato, oltre che Salvagnini era pure un tecnico sopraffino.
Giuro che dopo questo libro ogni volta che mi imbatto in un’azienda che ha una pannellatrice P4, mi fermo un attimo davanti a guardare il movimento di quei tasti da pianoforte per lamiera e mi immagino le notti insonni e le visioni di un uomo fuori dal tempo e dallo spazio, alle sue visioni e alla sua straordinaria squadra.
Che dire? Grazie ingegnere e grazie sig. Morobin per avermi fatto conoscere questa storia!
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